I casinò li ho frequentati, pure troppo, in gioventù.
Italia o Costa Azzurra, la minestra era sempre quella: il privé era semplicemente il posto dove si giocavano più soldi. I ristoranti annessi? Una tristezza assoluta: gamberetti e rucola, penne al salmone e via andare.
Si andava nei casinò solo per giocare, erano i tempi pre “New Vegas”.
La Babilonia del Nevada, negli anni ‘90, si è trasformata da – abbastanza sordida – Mecca per soli giocatori, a Eldorado per gourmets. Il più grande Barnum enogastronomico del mondo.
Top chef come se piovesse, carte dei vini strepitose. Iconico in tal senso è il wine bar dove i sommelier (senza dimenticare le sommelier), inguainati in divise a metà strada tra il sadomaso e “Mission: Impossible”, scalano altissime pareti, muniti di apposite carrucole, per acchiappare il cru che avete scelto. Più il vino è caro (e in alto, in base agli scaffali classisti), più loro si arrampicano. “Bottoms up”, miei cari.
Feste. La più clamorosa a cui ho partecipato è stata sicuramente l’inaugurazione del Casinò – Hotel – Megaristorante Wynn. Fiore all’occhiello dell’omonimo proprietario, leggenda di Vegas, già creatore del Venetian, il Wynn doveva stupire a tutti i costi, sin dall’inaugurazione. Quindi, per me e per tutti gli altri happy few – mica così pochi, saremo stati qualche centinaio – era previsto il massimo di tutto: aperitivo, cena, show, disco. La chicca, all’uscita: 20 grammi di Beluga a testa, come ringraziamento per la presenza. Della serie “Only in Vegas”. Ah, dimenticavo: andate alla piscina dell’Hard Rock Cafè, di pomeriggio, per musica e fauna al top. Tipo il Fontainbleu di Miami, tanto per capirci – di piscine e di fauna, specialmente.